A cura di Rossella Vitali avvocata giuslavorista e componente del Comitato scientifico dell'Osservatorio Metropolitano di Milano
in collaborazione con Marco Ceriani, membro della Segreteria FIT CISL Lombardia
Giovanni Abimelech, vi occupate di molte realtà lavorative (dalla logistica al trasporto merci, dall’igiene ambientale al trasporto aereo e via via esemplificando) ma il mondo sul quale oggi vogliamo fare luce è quello del trasporto pubblico locale a Milano. Da dove vogliamo cominciare?
Comincerei dandoci del tu e da una sorta di “approccio metodologico” per poi proseguire (anche nel corso delle prossime settimane) con un ragionamento “dati alla mano”: i numeri aiutano a decodificare la realtà.
L’errore più grave, quando si parla di trasporto pubblico, è quello di considerarlo in maniera a se stante rispetto alle normali politiche cittadine. Mi riferisco agli orari delle scuole e degli uffici comunali, nonché a quelli di raccolta dei rifiuti e via via esemplificando. La prima regola da ricordare, parlando di autobus e tram a Milano, è che il servizio di trasporto pubblico locale diventa tanto più efficiente quanto più si riduce il traffico veicolare nelle città.
Giovanni ti interrompo un attimo … credo che tu stia parlando della cosiddetta “velocità commerciale” dei mezzi … giusto?
Esattamente. La riduzione del traffico cittadino fa calare drasticamente il costo complessivo del sistema … semplicemente perché si riesce a fare più corse a parità di tempo. Lo ripeto spesso: volete una riforma a costo zero del sistema? Questa è una soluzione.
Era questo che volevi dire quando parlavi di approccio metodologico?
Anche questo ma non solo: nel ragionare di trasporto pubblico locale dobbiamo coniugare questo tema con quelle che in economia sono chiamate “esternalità negative”, ovvero inquinamento … e mancanza di eguaglianza sociale.
Posso capire l’inquinamento … poiché chi usa il mezzo pubblico non usa l’auto … ma che c’entra l’eguaglianza sociale?
Che la mobilità collettiva sia un’arma contro le diseguaglianze e la povertà non lo dico certamente io per primo, ma vi è una vasta letteratura scientifica in materia[1] che testimonia la bontà di questa tesi. Significa, parlando in termini ancor più concreti, un miglior funzionamento:
del mercato del lavoro (in termini di tempi di incontro tra domanda e offerta e di adeguatezza dell’impiego al livello di istruzione)
del mercato immobiliare (in termini di minori squilibri tra centro e periferia)
Anche qui, nulla di originale, questo tema è stato sottolineato anche da Bernardo Mattarella, nella relazione finale[2] sulla commissione di studio sul trasporto pubblico locale in Italia. Significa anche la possibilità di avere accesso a luoghi ove curarsi altrimenti difficilmente raggiungibili, significa poter studiare in scuole migliori altrimenti non accessibili. Sono temi molto concreti che spesso scordiamo, perché il “modello Milano”, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, ha da sempre mostrato una efficienza assolutamente comparabile ai migliori “benchmark” europei. Ma tutto questo non è più sufficiente. Gustavo Petro, attuale presidente della repubblica colombiana, amava ripetere come: “Un paese sviluppato non è quello in cui i poveri hanno le automobili. È quello dove i ricchi usano i mezzi pubblici”.
Beh … un punto di vista decisamente fuori dall’ordinario
Credo che ogni tanto sia necessario staccarsi dalla domanda del “Come si fanno le cose” per tornare al “Perché si fanno le cose”. Potenziare il trasporto pubblico locale risponde ad una domanda di giustizia sociale che è il cuore del nostro lavoro di sindacalisti. Bisogna fare molta attenzione però a non trasformare questo approccio in una retorica vuota e distaccata dalla realtà: “la politica è l’arte del possibile” sosteneva il cancelliere prussiano Bismarck nel diciannovesimo secolo, e dobbiamo essere in grado di far accadere le cose, non solo enunciarle.
A che ti riferisci di preciso?
Mi riferisco al fatto che il potenziamento del trasporto pubblico locale passa attraverso una serie di investimenti significativi e ad una campagna di sensibilizzazione sull’utilizzo del mezzo pubblico, oltre che ad una serie di incentivi mirati. In assenza di tutto questo rischiamo di parlare di nulla.
Cioè?
Per essere molto diretto: parlare di passaggio all’auto elettrica senza prevedere un parallelo investimento nel trasporto pubblico locale, anche nelle sue modalità più innovative, è un ragionamento monco. Davvero vogliamo passare da una Milano intasata di traffico … ad una Milano ancora intasata di traffico seppur di auto elettriche? Lo sai che Milano è la 61° città più “congestionata” al mondo[3] e proprio per questo l’anno scorso si sono perse mediamente 59 ore in coda?
Sono numeri davvero impressionanti in effetti
Già… e ci ricordano anche un'altra cosa: Il PNRR pone l’obiettivo dello spostamento di almeno il 10 per cento del traffico dalle auto private al trasporto pubblico. Ad oggi siamo davvero lontani da questo obiettivo. Pensare di affrontare questi problemi “nuovi” con degli strumenti “vecchi” sarebbe irrealistico.
Lasciamo con questa promessa Giovanni … nel corso della prossima chiacchierata ci confronteremo sulle possibili soluzioni.
Note:
[1] Vedasi, a puro titolo di esempio, “How Mobility Shapes Inclusion and Sustainable Growth in Global Cities” studio commissionato dal world economic forum nel dicembre 2021.
[2]Scaricabile a quest’indirizzo web: https://www.mit.gov.it/sites/default/files/media/notizia/2021-09/relazione_commissione_studio_TPL.pdf
[3] Vedi: https://inrix.com/scorecard-city-2022/?city=Milan&index=61
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